“Guarda come sei…” Il fenomeno del Body Shaming nell’analisi dello Psicologo Elpidio Cecere
“Quanto sei magra”, “Che fianchi larghi che hai”, “Come sei peloso”, “Guarda che pancia che hai”, “Ma quanti brufoli hai?”.
Basta! Basta alla valanga di commenti offensivi, denigratori e svalutativi provenienti da persone che si sentono in grado di poter giudicare le caratteristiche fisiche delle altre persone. Questo fenomeno, definito Body Shaming e traducibile con “umiliazione del corpo,” è sempre esistito ma oggi ha oltrepassato i limiti.
Il Body Shaming è una forma di bullismo che mira a criticare la vittima, soffermandosi in particolare sul suo aspetto esteriore. Il fisico viene criticato in quanto non rispetta quelli che sono i canoni estetici imposti dalla società in cui si vive. Qualsiasi caratteristica fisica può essere presa di mira: dal modo di vestirsi all’acconciatura dei capelli, dal peso alla forma corporea (Vargas, 2017).
Il Body Shaming provoca maggiori effetti negativi sulle vittime che tendono ad auto-oggettivarsi, ossia su quelle persone che, dando eccessiva importanza alla forma fisica e all’apparenza, arrivano a considerarsi come un oggetto da guardare e valutare.
Particolarmente vulnerabili a questo tipo di immagini e messaggi sembrano essere gli adolescenti, non solo perché maggiormente esposti ai social media, ma soprattutto per il profondo periodo di trasformazione che si trovano a dover affrontare (Gam, Singh, Manar, Kar e Gupta, 2020).
Il passaggio dall’infanzia all’età adulta è infatti segnato da cambiamenti nello sviluppo fisico, sessuale, cognitivo, psicologico e sociale e le conseguenze per la persona possono essere ritiro sociale e riluttanza ad interagire con gli altri (Lestari, 2019), sentimenti di autocriticità, sentimenti di vergogna e sintomi depressivi (Duarte, Gouveia, e Ferreira, 2014), fino all’insorgenza di veri e propri disturbi mentali (Cash e Pruzinsky, 2002; Lestari, 2019).
Quando i livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla ricerca della perfetta forma corporea (APA, 2013) diete, digiuni e/o condotte compensatorie (come vomito, iperattività, uso di lassativi) prendono il sopravvento per prevenire l’aumento di peso: si tratta di modalità altamente disfunzionali che si ritrovano nell’anoressia e nella bulimia nervosa.
La messa in atto di comportamenti alimentari non salutari permetterebbe, nell’ottica del disturbo, di affievolire la vergogna del corpo derivante dall’insoddisfazione per le sue dimensioni, anche se paradossalmente le pratiche messe in atto per contrastare l’aumento di peso possono aumentare la consapevolezza del fallimento nel raggiungimento della perfezione corporea, amplificando così l’esperienza di vergogna piuttosto che alleviarla e instaurando un circolo vizioso (Moradi, Dirks e Matteson, 2005; Noll e Fredrickson, 1998).
La percezione di sentirsi desiderabili solo nella condizione in cui si rispettano gli standard estetici veicolati dalla società solleciterebbe una corsa inesorabile per il raggiungimento di una forma corporea considerata ideale; il Body Shaming è un fenomeno in continua crescita ed è chiaro, dunque, che bisogna combatterlo.
Già qualcosa è iniziato a muoversi anni fa, quando è nato il movimento chiamato “body positive” il cui obiettivo è abbattere gli standard di bellezza che la società ha creato. Personaggi famosi (e non) che si riconoscono in questo movimento mettono in evidenza i propri corpi che non rispecchiano i parametri del “corpo perfetto”. Si cerca così di promuovere l’accettazione del proprio corpo a prescindere da qualsiasi caratteristica fisica.
Nel 2015 è nato un altro movimento chiamato “body neutrality” che vuole sottolineare la necessità di smettere di considerare il corpo da un punto di vista estetico. Si differenzia dal body positive poiché non pone un problema di accettazione del corpo ma considera il corpo solo per le sue funzioni e non per il suo aspetto esteriore. La strada da fare è ancora lunga e deve comprendere inevitabilmente un cambiamento culturale che può avvenire solo attraverso l’educazione delle nuove generazioni.
“Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza” (Rita Levi Montalcini).
A cura di: Dott. Ciro Andreozzi; Dott. Manuel Perretta; Dott.ssa Laura Viscusi; con la supervisione dello Psicologo dott Elpidio Cecere.