Il fenomeno della pedofilia nell'analisi dello Psicologo Elpidio Cecere

Il fenomeno della pedofilia nell’analisi dello Psicologo Elpidio Cecere

Un ex insegnante di 57 anni di Milano, con precedenti penali legati ad abusi, è stato l’autore di 41 adescamenti a danni di ragazzine (dai 6 ai 14 anni) in diverse province d’Italia. Egli è entrato in contatto con le giovani vittime, tramite social network (Facebook, Instagram, TikTok), fingendosi adolescente.

Il tema della pedofilia ritorna costantemente nella cronaca, suscitando orrore e disgusto nella maggior parte delle persone. Lo scopo di questo articolo è quello di fornire conoscenze, su base scientifica, sulle caratteristiche di colui a cui viene attribuita l’etichetta di “pedofilo”.

La pedofilia, con la denominazione di Disturbo Pedofilico, rientra nei Disturbi Parafilici, macrocategoria dei Disturbi sessuali presente nell’ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5). I criteri per effettuare questa diagnosi sono:

• l’eccitazione sessuale ricorrente e intensa, manifestata attraverso fantasie, desideri o comportamenti, per un periodo di almeno 6 mesi, che comportano attività sessuale con un bambino in età prepuberale e con bambini (solitamente di età inferiore ai 13 anni);

• l’individuo ha messo in atto questi desideri sessuali, oppure i desideri o le fantasie sessuali causano marcato disagio o difficoltà interpersonali (l’esperienza di angoscia per questi impulsi o comportamenti non è un requisito per la diagnosi);

• la persona ha almeno 16 anni ed è di almeno 5 anni più grande del bambino bersaglio delle fantasie o dei comportamenti (ma vanno esclusi persone in tarda adolescenza che si trovano in rapporto continuo con un bambino di 12 o 13 anni).

Va, però, specificato se l’individuo sia sessualmente attratto da maschi o femmine o da entrambi, se le fantasie o il comportamento siano limitanti all’incesto e se l’attrazione sia di tipo esclusivo (rivolta solo ai bambini) o non esclusivo.

Cesa-Bianchi e Scabini (1991) suddividono gli autori di comportamenti pedofili in 2 categorie:

1. coloro che adescano il bambino con raggiri, atteggiamenti seduttivi, e che presentano un inadeguato sviluppo psicosessuale, sono incapaci di relazionarsi con partner adulti di cui temono il giudizio, e ricercano, quindi, nei bambini dei partner meno critici e competitivi;

fanno parte di questa categoria anche quegli individui che mostrano un normale orientamento sessuale e partner adulti, ma che, in condizioni di stress o conflittualità, ne minacciano l’autostima, e sotto l’influsso di alcol e droghe, possono regredire a scelte sessuali inadeguate;

2. coloro che si impongono con aggressione e violenza, associando alla violenza sessuale altri comportamenti antisociali, che di norma rappresentano il sintomo di un forte bisogno di potere.

Generalmente, il profilo psicologico del pedofilo prevede competenze sociali e sessuali poco sviluppate, che gli portano ad esperire ansia al pensiero di relazioni sessuali normali (McAnulty, 2006); nella maggior parte dei casi, i pedofili hanno subìto violenze nell’infanzia (sia sotto forma di trascuratezza sia sotto forma di abuso) e sono stati privati di rapporti affettivi importanti (McAnulty, 2006; Berlin, 2000).

Sebbene non ci sia ancora evidenza, alcuni teorici hanno ipotizzato che la pedofilia possa essere connessa ad anomalie nella biochimica o nella struttura del cervello (Cantor et al., 2004; Maes et al., 2011). Spesso, in questi individui sono presenti convinzioni distorte, come il sostenere che i bambini beneficiano della loro esperienza (Durkin & Hundersmarck, 2008; Lanning, 2001).

Marshall e Marshall (2000) hanno ipotizzato un modello secondo cui le fantasie e i comportamenti sessuali nei confronti dei bambini sono un mezzo utilizzato dal pedofilo per fronteggiare le sensazioni negative delle esperienze di abuso infantile: secondo questi autori, l’individuo, attraverso l’attività masturbatoria che può tramutarsi in determinati comportamenti sessuali, trova la riconquista di sentimenti di controllo e potere e l’identificazione con colui che ha abusato di lui.

Negli ultimi anni si è verificata un’esplosione di reati di pedopornografia, questo perché il mondo virtuale rende più articolata e complessa il disvelamento dell’identità garantendone l’anonimato, con la facilità di creare profili falsi e dati anagrafici fasulli.

Uno studio condotto dall’Università di Lancashire (O’Connell, 2003) ha delineato le fasi che caratterizzano la condotta di adescamento:

1. Selezione della vittima e contatto iniziale: l’adescatore sceglie il minore e inizia ad instaurare con lui un contatto di conoscenza;

2. Fase di creazione dell’amicizia: l’adulto può fingersi un bambino/adolescente o uno “zio” amico, lo colma di attenzioni e complimenti al fine di dare vita a un rapporto di fiducia e sottrarre informazioni sulla sua vita privata;

3. Fase di creazione della relazione: l’adescatore tende a comportarsi come un “migliore amico” creando un rapporto sempre più profondo e intimo con la vittima;

4. Fase della valutazione del rischio: l’adulto indaga il rischio che ha di venire scoperto (interroga il minore sulla posizione del computer in casa, sulla presenza dei genitori, ecc.);

5. Fase dell’esclusività: l’adulto manipola il minore a livello psicologico, facendo leva sulla fiducia acquisita e sull’esclusività del rapporto e lo incita a tenere segreta la loro relazione;

6. Fase sessuale: l’adescatore introduce, nelle conversazioni col minore, argomenti esplicitamente sessuali cercando di farlo cedere alle sue richieste, mostrando immagini pedopornografiche, a cui può seguire un incontro di persona.

Nell’immaginario comune il pedofilo è sempre associato ad un individuo di sesso maschile, ma occorre tener presente che la pedofilia riguarda anche le donne. Infatti, sebbene i dati ufficiali relativi alle denunce registrino che la pedofilia ad opera di individui di sesso femminile si attesti sul 5/7%, due ricercatori, Petrone e Troiano (2010), hanno riscontrato che il 78% dei maschi pedofili riferisce di aver subito abusi infantili ad opera di figure femminili (di solito dalla madre). I motivi dell’assenza di riscontri precisi sulla pedofilia al femminile sono probabilmente da trovarsi in ragioni sociali e culturali, e cioè nella difficoltà di concepire chi è sempre stata considerata una protettrice dell’infanzia come responsabile di determinati comportamenti (Costantini & Quattrini, 2011).

È importante sapere che, attraverso la psicoterapia, le persone affette dal Disturbo Pedofilico possono sviluppare strategie per prevenire l’espressione comportamentale del disturbo.

Una concreta strategia di prevenzione e trattamento richiederebbe una stretta collaborazione ed una profonda integrazione non solo tra i servizi presenti sul territorio, ma anche tra questi e le diverse Istituzioni che si occupano specificamente di promuovere il benessere dei bambini, siano esse politiche, giudiziarie, amministrative o formative. L’azione congiunta di tutti questi soggetti potrebbe favorire la conoscenza del fenomeno e agevolarne il riconoscimento presso l’opinione pubblica e la collettività in generale.

A cura di: Dott. Ciro Andreozzi; Dott. Manuel Peretta; Dot.ssa Laura Viscusi; con la supervisione dello Psicologo Elpidio Cecere.

 

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